Fino al 26 Gennaio 2025, all’interno della cornice espositiva di Palazzo Roverella a Rovigo, sarà visitabile la grande mostra monografica dedicata ad Henri Cartier-Bresson, che celebra il rapporto del grande maestro della fotografia francese con l’Italia.
La mostra, composta anche da numerose opere vintage provenienti dalla Fondation Cartier-Bresson, ripercorre le tappe di un rapporto iniziato prestissimo, già negli anni Trenta del Novecento, e proseguito sino agli anni Settanta, momento in cui Cartier-Bresson ha abbandonato la fotografia.
Il percorso espositivo parte dal primo viaggio italiano del maestro francese negli anni Trenta – in compagnia dell’amico André Piere de Mandiargues, poeta e scrittore, e della sua compagna, la pittrice Leonor Fini, in cui scatta alcune delle sue immagini più famose – passa per il secondo negli anni Cinquanta in Abruzzo e Lucania sulle tracce di Carlo Levi e prosegue con i servizi per le riviste illustrate dell’epoca, tra cui Holiday e Harper’s Bazaar, dedicati soprattutto a Roma, Napoli, Venezia. L’itinerario spazio-temporale si conclude nuovamente a Matera segnando un vero e proprio ritorno sui luoghi frequentati vent’anni prima, in cui è facile leggere l’avanzare della modernità e la persistenza delle identità locali.
Duecento fotografie e numerosi documenti – giornali, riviste, volumi, lettere – mostrano, per la prima volta, in maniera esaustiva e approfondita il rapporto tra colui che è stato definito “l’occhio del secolo” e l’Italia.
La mostra, promossa da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Comune di Rovigo e Accademia dei Concordi, con il sostegno di Intesa Sanpaolo, è realizzata in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi e la Fondazione CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino, con la curatela di Clément Chéroux e Walter Guadagnini, direttori delle rispettive Fondazioni.
Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie 1908 – Montjustin 2004)
È stato un fotografo francese, considerato un pioniere del fotogiornalismo, tanto da meritare l’appellativo di “occhio del secolo”. Teorico dell’istante decisivo in fotografia, ha anche contribuito a portare la fotografia di stampo surrealista a un pubblico più ampio. È stato uno degli esponenti più importanti della cosiddetta fotografia umanista, nonché fondatore insieme ad altri della prestigiosa agenzia Magnum Photos. Dopo gli studi giovanili, Henri fu presto attratto dalla pittura, avviando il percorso che lo porterà verso l’ambiente dei surrealisti. È lo stesso Cartier-Bresson che racconta come fu una fotografia di Martin Munkacsi ad attrarlo verso il mondo della fotografia: «è stata quella foto a dar fuoco alle polveri, a farmi venir voglia di guardare la realtà attraverso l’obiettivo». Fu così che nel 1932 comprò una Leica 35 mm che l’accompagnerà per molti anni. Nel 1936 lavora nel cinema come assistente del regista Jean Renoir e, nel 1937, firma personalmente il film Return to Life (Victoire de la vie). Nel 1934 conosce David Seymour, che gli presenterà Robert Capa. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Cartier-Bresson entra nella resistenza francese, continuando a svolgere costantemente la sua attività fotografica. Catturato dalle truppe naziste nel 1940 viene imprigionato ma riesce a fuggire dal carcere. Al suo rientro si unisce a un’organizzazione di assistenza ai prigionieri evasi. Nel 1944 fotografa la liberazione di Parigi. Finita la guerra, ritorna al cinema e dirige il film Le Retour, documentario sul ritorno in patria dei prigionieri di guerra e dei deportati. Nel 1946 viene a sapere che il MoMA intende dedicargli una mostra “postuma”, credendolo morto in guerra: si mette in contatto con il museo e dedica oltre un anno alla preparazione dell’esposizione, inaugurata il 1947. Nello stesso anno fonda, insieme a Capa, Rodger, Seymour e Vandivert la Magnum Photos e dà il via a innumerevoli viaggi in cui realizzerà quei reportage che gli daranno fama mondiale. Cartier-Bresson divenne il primo fotografo occidentale che fotografava liberamente nell’Unione Sovietica del dopoguerra. Nel 1968 Henri Cartier-Bresson inizia gradualmente a ridurre la sua attività fotografica per dedicarsi al suo primo amore artistico: la pittura, dichiarando: «In realtà la fotografia di per sé non mi interessa proprio; l’unica cosa che voglio è fissare una frazione di secondo di realtà». Nel 2000, assieme alla moglie Martine Franck, anch’essa fotografa, e alla figlia Mélanie crea la Fondazione Henri Cartier-Bresson, che ha come scopo principale la raccolta delle sue opere e la creazione di uno spazio espositivo aperto ad altri artisti; nel 2002 la Fondazione viene riconosciuta dallo stato francese come ente di pubblica utilità.